Come funziona Car-T, la terapia che usa il sistema immunitario contro i tumori

Dal primo colloquio alla dimissione del paziente, Humanitas racconta come funziona la terapia che consente di trattare i linfomi non Hodgkin

“Le Car-T sono un farmaco vivente”. Le ha definite così Stefania Bramanti, responsabile della sezione di Trapianto Autologo, Car-T e Aferesi dell'ospedale Humanitas di Rozzano (Milano), durante un incontro con la stampa promosso insieme alla casa farmaceutica Gilead. Un appuntamento voluto per raccontare come funziona nella pratica clinica l'ultima frontiera delle terapie oncologiche.

La sigla che sta per Chimeric antigen receptor, a indicare linfociti T estratti dal corpo del paziente e ingegnerizzati perché riconoscano, e attacchino, le cellule tumorali. La terapia è stata utilizzata nel trattamento dei linfomi non Hodgkin, un tumore del sistema linfatico, in pazienti che non rispondono alle cure tradizionali, e ha visto andare in remissione completa 19 dei 29 pazienti trattati in questo centro dal novembre del 2019.

Come funziona la terapia Car-T

Il trattamento inizia con un colloquio. Colloquio che, durante l'iniziativa, ha visto un attore interpretare un vero paziente 28enne, arrivato nel centro con una diagnosi di linfoma non Hodgkin al quarto stadio e soprattutto dopo due cicli di chemioterapia che non hanno dato alcun risultato.

È a questi pazienti che l'equipe guidata dal professor Armando Santoro, direttore del Cancer center e responsabile dell'unità operativa Oncologia medica ed Ematologia, propone di sottoporsi a questo trattamento innovativo. La terapia inizia dall'estrazione dei linfociti dal corpo del paziente, che avviene attraverso un procedimento chiamato aferesi. Il sangue del paziente viene fatto passare attraverso una macchina (la si vede nella foto di apertura) che isola i linfociti T dal resto del materiale ematico. La procedura può durare fino a 5 ore e si effettua in day hospital. Prima di iniziare viene iniettato “un anticoagulante, che però riduce la concentrazione di calcio nel paziente. Per questo può verificarsi un'ipocalcemia, che ha come sintomi un fastidio alle articolazioni e alla bocca”, ha precisato Bramanti. L'effetto collaterale viene trattato somministrando calcio al paziente.

Una volta estratti, i linfociti T devono essere ingegnerizzati. Humanitas non svolge internamente il processo ma si affida ai laboratori delle aziende farmaceutiche. Ci vogliono dalle tre alle quattro settimane per completare questo processo. “In questo periodo valutiamo se sottoporre il paziente a una terapia ponte”, ovvero una radioterapia che contrasti l'avanzamento della malattia in attesa del trattamento immunoterapico.

Una volta pronte le Car-T, il paziente viene nuovamente ricoverato. Per i primi tre giorni viene sottoposto a una chemioterapia, che ha lo scopo di garantire la linfodeplezione. Ovvero la rimozione dei linfociti T nativi, che potrebbero contrastare quelli ingegnerizzati. Quindi si passa all'infusione di questi ultimi, che avviene tramite una trasfusione che dura pochi minuti.

Monitorare la terapia Car-T

A questo punto inizia il monitoraggio. Per la prima ora i parametri vitali del paziente vengono registrati ogni 15 minuti, poi una volta ogni 4 ore. Sono due i possibili effetti collaterali che devono essere tenuti sotto controllo. La prima è la tempesta citochinica, che si manifesta attraverso la febbre. Le citochine sono molecole prodotte dal sistema immunitario quando risponde ad uno stimolo. Questa reazione potrebbe, ovviamente, essere indice del fatto che i linfociti T infusi nel paziente stanno attaccando le cellule tumorali. Il che, però, non significa necessariamente che la terapia avrà successo.

Un'alterazione della scrittura segnale dell'esordio di una neurotossicità - Photo Leo Brogioni

L'altro effetto collaterale è invece di tipo neurologico. Una possibile neurotossicità che viene monitorata chiedendo al paziente di scrivere una frase di controllo tre volte al giorno. “L'alterazione della scrittura è il segnale di esordio di questa complicazione”, spiega la responsabile della sezione di Trapianto Autologo, Car-T e Aferesi.

Dopo l'infusione, il paziente resta ricoverato per due o tre settimane. Una volta dimesso, il centro gli chiede di rimanere per un mese a un massimo di due ore di auto di distanza e lo mette in contatto con alcune associazioni che possono mettere a disposizione un alloggio temporaneo. Trascorso un mese dalla trasfusione vengono effettuate una Tac ed una Pet, ripetute a tre mesi dall'infusione e poi ancora a cadenza trimestrale. Grazie a questi esami già dopo i primi 90 giorni i medici sono in grado di stabilire se la terapia abbia avuto effetto.

Da novembre 2019, quando ha introdotto questo trattamento, Humanitas ha valutato 52 pazienti, giudicandone eleggibili 42. Di questi, 6 sono deceduti prima di poter accedere al trattamento, 1 è in attesa dell'aferesi, 6 dell'infusione. Dei 29 che hanno completato il trattamento, 10 hanno avuto una recidiva, mentre gli altri 19 sono andati in remissione completa. Risultati incoraggianti se si pensa che si tratta di pazienti che non avevano risposto alle cure tradizionali. E che, senza le Car-T, non avrebbero avuto speranze.

Istituto Dante Alighieri